Spartaco Capogreco, la guerra e la storia del partigiano Facio

Avvenire del 27/01/2007

di Goffredo Fofi

Gli anni 1943-'45 sono stati i più raccontati di tutti, nella storia dell'Italia unita, e continuano a essere raccontati. Attorno al fascismo, all'antifascismo, alla Resistenza, alla Repubblica di Salò, alla Liberazione, alle vicende della seconda guerra mondiale su suolo italiano nel Nord e, finalmente da qualche anno, nel Sud, si sono avute memorie, documenti, film, inchieste, romanzi, voluminosi libri di indagine storica, interpretazioni, polemiche. E hanno continuato a scatenarsi anche nelle generazioni che quegli anni non hanno vissuto esaltazioni e detrazioni, passioni che in qualche momento, negli anni settanta soprattutto, hanno dato prodotto altro sangue, altre morti. Claudio Pavone ha parlato giustamente di "guerra civile", e queste parole tornano molto spesso nel bellissimo romanzo di Marisa Bulgheroni Un messaggio attraverso le stelle (Mondadori). Ma il libro di cui si vuol parlare non è un romanzo, anche se ne ha la materia, è un libro di storia, la ricostruzione di una delle tante pagine nere del '43-'45, che vuol portare chiarezza su una morte oscura e censurata. Ne è autore Carlo Spartaco Capogreco, di cui scoprimmo con vera emozione alla fine degli anni ottanta uno studio edito dalla Giuntina sul "più grande campo d'internamento fascista", quello di Ferramonti in Calabria, una storia ricca di sorprese, che riguardò soprattutto gli ebrei, anche a liberazione avvenuta. Il suo saggio più famoso parla anche degli altri Campi del Duce (Einaudi, 2004). Capogreco parte ancora dalla sua Calabria per questo Il piombo e l'argento ovvero La vera storia del partigiano Facio (Donzelli, pagine 232, euro 24,50, con molte foto su epoca e protagonisti). Facio, nome di battaglia di Dante Castellucci, era un giovane calabrese emigrato bambino nel Nord della Francia e che tornato in Italia, aveva fatto la guerra sul Don, ed era poi entrato nella Resistenza sull'Appennino emiliano grazie al legame con alcuni membri della famiglia Cervi, che, come si ricorda, vide uccisi dai nazifascisti ben sette dei suoi figli. Aveva doti di capo, era coraggioso e sensato, e fu l'eroe di una memorabile impresa quando in un rifugio sul Lago santo parmense con otto compagni resistette a un imponente assedio mettendo in fuga un centinaio di tedeschi. Nel momento in cui la Resistenza cominciò a darsi delle strutture organizzative e militari, al confine tra zona d'influenza emiliana e zona spezzina, egli si mise in urto con un aspirante capo dal dubbio passato e dai dubbi metodi, che alla fine, per pura rivalità, lo prese in una sorta di agguato e lo processò per cose assolutamente secondarie, facendolo condannare a morte. Aveva 24 anni. Il mito di Facio è ancora vivo nelle popolazioni del luogo e la sua memoria venne onorata nel '63 da una medaglia d'argento, quell'argento che, dice il titolo del libro, voleva nascondere il piombo di una uccisione ingiustissima, coperta dal silenzio e dalle rimozioni del dopoguerra e soprattutto da quelle del suo partito. Capogreco intervista i sopravvissuti, legge i documenti, fa risorgere un contesto di coraggio e di viltà, di grandezza o di miseria umane e politiche, senza livore, seguendo un preciso sentimento del dovere, l'obbligo della verità.

 

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