Il partigiano “Facio” ucciso dai compagni e non dai nazifascisti
Gazzetta del Sud del 28/03/2007
Di Antonio Garro
Diventa un caso politico la medaglia d’argento alla memoria del comandante partigiano Dante Castellucci. Gli fu conferita in quanto- si sostenne- caduto per mano dei nazifascisti. Ad ammazzarlo furono, invece i suoi stessi compagni. La vicenda è diventata di pubblico dominio grazie al libro “Il piombo e l’argento” di Carlo Spartaco Capogreco (editore Donzelli) presentato in prima assoluta a Sarzana, in provincia di La Spezia. E, alla luce di quanto rivelato da Capogreco, il senatore diessino Andrea Ranieri ha annunciato di voler attivare la proceduta che consenta di correggere la motivazione di quell’onorificenza e così in qualche modo illuminare una delle persistenti zone d’ombra della Resistenza. Di origini calabresi (era nato a Sant’Agata d’Esaro, in provincia di Cosenza), Castellucci, noto come “Facio”, fu giustiziato all’alba del 22 luglio 1944. Aveva 24 anni.
Inviato a combattere in Russia, al rientro aveva disertato e abbracciato gli ideali comunisti. Formatosi alla lotta frequentando i 7 fratelli Cervi, assunse il comando del battaglione “Picelli” della Brigata Garibaldi Parma distinguendosi per carisma e capacità operative. Divenne una figura quasi leggendaria in Lunigiana e nella Valle del Taro, nel marzo del ’44: con altri 8 uomini tenne testa, sul Lago Santo, all’attacco di più di cento nazifascisti costringendoli a battere in ritirata. Ma il crescente prestigio attirò sul giovane partigiano invidie, gelosie, rancori da parte di alcuni compagni. Che decisero di farlo fuori, imbastendo un processo sommario sfociato in una condanna a morte con esecuzione immediata. Capogreco è uno storico da sempre impegnato sul fronte delle vicende storiche rimosse. Questo suo nuovo libro (pagg. 244, € 24,50) offre, attraverso testimonianze e documenti, una minuziosa ricostruzione delle azioni militari di Castellucci, del processo-farsa cui fu sottoposto, della sua tragica fine. Ma, soprattutto, evidenzia il suo onore immolato sull’altare di una visione apologetica della Resistenza. Che, nella motivazione del conferimento della medaglia d’argento (consegnata a Cosenza nel maggio ’63) fa scrivere di lui: ”scoperto dal nemico, si difendeva strenuamente; sopraffatto e avendo rifiutato di arrendersi, veniva ucciso sul posto”. Una falsità tenuta in piedi per oltre 60 anni. Abbiamo incontrato l’autore de “Il piombo e l’argento” per un approfondimento dell’argomento.
Vent’anni fa il suo libro su Ferramonti, edito da Giuntina, aprì una stagione di ricerche sui campi di concentramento fascisti, culminata, nel 2004 nel volume “I campi del duce”, pubblicato da Einaudi. Secondo lei, cosa può rappresentare, oggi, questa sua nuova opera per la storia contemporanea?
“Anzitutto restituisce la figura di Facio alla sua dimensione reale, umana e storica collocandola al fianco di quelle dei massimi eroi della Resistenza, che hanno suggellato la loro scelta civile e politica col sacrificio della vita. Spero che esso possa insegnare che la verità debba sempre precedere ogni altra considerazione; che non si possono occultare o “ridimensionare” le “zone d’ombra” presenti anche nell’ambito delle forze partigiane che si battevano per la libertà, in nome - come ha scritto su “l’Unità” il senatore Ranieri - di un malinteso senso di identità che nel passato cerca radici indiscutibili ed immutabili”.
Lei è noto per il grande contributo dato alla valorizzazione dei “luoghi di memoria”. Basta ricordare l’impegno profuso per la conoscenza e la riscoperta del sito di Ferramonti. Crede che la notorietà che il suo nuovo libro sta dando a Sant’Agata d’Esaro potrà avere conseguenze anche nei termini di una “riscoperta” culturale di questo piccolo centro?
“Sono convinto di sì. La “scoperta” di Castellucci, la sua riappropriazione porteranno, ovviamente, i calabresi a riconoscere in Sant’Agata d’Esaro, per così dire, il sito d’eccellenza del rapporto tra la Calabria e la Resistenza italiana. Esattamente come Ferramonti lo è divenuto nel rapporto con la persecuzione antiebraica. D’altra parte Dante Castellucci è stato un eroe di primo piano della Resistenza, non un partigiano qualunque. Da molti anni sottolineo questa possibilità agli amministratori di Sant’Agata e in particolare al sindaco, professor Carmine Arcuri. Lo scorso 22 gennaio, inoltre, nel corso di una conferenza che ho tenuto proprio a Sant’Agata, ho rinnovato pubblicamente la mia vecchia proposta di intitolare a “Facio” una piazza cittadina e di acquisire alla proprietà pubblica la sua casa natale”
Lei scrive nel suo libro che è giunto il momento di restituire allo Stato la medaglia d’argento, per protesta con il falso storico presente. Crede che, per riabilitare definitivamente Castellucci, sia sufficiente che il Presidente Napolitano provveda a modificare la “motivazione bugiarda”? Oppure ci vuole dell’altro?
“Certamente questo è un passo importante, un passo dovuto, dal momento che oggi “Il piombo e l’argento” dimostra inoppugnabilmente che la motivazione della medaglia contiene un plateale falso. È importante, perciò, che Andrea Ranieri si sia fatto carico di esperire personalmente le procedure necessarie a che ciò venga messo in atto. Ma credo che per riabilitare realmente Castellucci occorra anche sconfessare il “processo” del 21 luglio ’44, e che occorra conferirgli la medaglia d’oro per i meriti acquisiti sul campo, che lo pongono tra i principali eroi della guerra di Liberazione: la “battaglia del Lago santo Parmense” varrebbe, da sola, 9 medaglie d’oro al valor militare, una per ognuno dei partigiani che l’hanno sostenuta”.