Sarzana chiede a Napolitano la medaglia d’oro per il partigiano Facio
Fu ucciso dal piombo del plotone d’esecuzione dei suoi compagni dopo un processo-farsa ricostruito nel libro di Capogreco

Il Secolo XIX del 21/03/2007

di Pino Meneghini

Partirà da Sarzana la richiesta al presidente Napoletano di concedere la medaglia d’oro al partigiano Facio. La tragedia del partigiano calabrese Dante Castellucci, questo il suo vero nome, ucciso ad Adelano dal piombo del plotone di esecuzione dei suoi compagni garibaldini, si è materializzata nei giorni scorsi, a sessant’anni da quei fatti, nella sala consiliare di Sarzana, davanti ad un pubblico che la riempiva fino all’inverosimile. L’occasione è stata offerta dalla presentazione, prima assoluta in Italia, del libro di Spartaco Capogreco “il piombo e l’argento” dell’editore Donzelli, che rievoca e illumina molti degli angoli finora nascosti della vita, e soprattutto della morte di Facio. Il titolo del volume allude, oltre che alla fucilazione da parte dei compagni, all’argento della medaglia che nel 1963 venne concessa alla madre, con una falsa motivazione nella quale si affermava che egli era stato ucciso dai nazifascismi. Nelle oltre duecento pagine del volume, la rabbia e la passione civile dell’autore, anch’egli calabrese, inchiodano alle loro responsabilità gli autori dell’omicidio, tutti comunisti come del resto lo stesso Castellucci. Non solo, ma Capogreco nelle ultime righe del suo lavoro chiede esplicitamente la revisione del processo-farsa con il quale l’eroico patriota fu condannato a morte, insieme alla cancellazione della falsa medaglia e una degna riabilitazione con la concessione della medaglia d’oro. Del resto azioni da medaglia, Castellucci ne aveva compiute molte già sull’Appennino reggiano, quando insieme ai fratelli Cervi sfidava in campo aperto fascisti e tedeschi, fino alla notte della loro cattura nella casa dei Campi Rossi. Sfuggito miracolosamente alla sorte dei Cervi, Facio che del gruppo era il capo militare, entrò nel mirino dei comunisti di Reggio Emilia che lo condannarono a morte come “spia al soldo dei tedeschi”. Rifugiatosi nel parmense e da lì sui monti di Lunigiana, divenne ben presto un mito, conosciuto e amato dalla gente comune oltre che dai suoi uomini, per la sua umanità, il coraggio, ma anche per gesta come quella del Lago Santo. Qui Facio insieme ai suoi otto compagni male armati, assediati in una baita, seppe tenere testa e infliggere pesanti perdite a una nutrita formazione nazi-fascista che dopo 30 ore di combattimento dovette ritirarsi. Di quell’impresa restano due soli superstiti, Pietro Gnecchi e Pietro Zuccarelli, entrambi presenti l’altro giorno alla cerimonia di Sarzana. Nell’estate del 1944, ormai accampato sui monti dello Zerasco, Castellucci, al comando del battaglione Picelli, entra in contrasto con due formazioni guidate da un gruppo di partigiani spezzini. Questi coltivano infatti il progetto di unificare le formazioni combattenti in zona sotto la direzione politica del partito comunista, al quale non aderisce Castellucci che intende restare autonomo e comunque in collegamento con il Cln di Parma. Un ruolo decisivo viene giocato in questa vicenda da Antonio Cabrelli (Salvatore), personalità complessa con un passato politico inquietante. Già allontanato dal partito nel 1939, perché sospettato di aver avuto rapporti con la polizia fascista e tuttavia condannato al confino alle Tremiti, Cabrelli tenta in tutti i modi di isolare e delegittimare Facio davanti alla sua formazione. Il 21 luglio 1944 scatta infine la trappola da tempo preparata. Chiamato con una scusa al comando di Adelano, viene prima picchiato, poi arrestato e processato da una corte formata dai suoi stessi nemici e senza alcuna difesa, Facio sarà condannato a morte in quello stesso pomeriggio e fucilato l’indomani all’alba.

 

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