Dante, eroe partigiano vittima del fanatismo

Il Venerdì del 09/02/2007

di Corrado Augias

Il piombo e l'argento, di Carlo Spartaco Capogreco, è un libro duro, meglio dirlo subito. Racconta un episodio molto avventuroso, ma soprattutto tragicamente amaro, avvenuto durante la Resistenza. Ma è anche un libro utile, serve a conoscere di quali tragici equivoci, di quali errori sia fatta una guerra crudele com'è sempre la guerra, ma crudele in modo particolare come sono sempre le guerre condotte da bande irregolari, nell'ambito più generale di una guerra civile, con un'accentuata connotazione politica. E' la storia di Dante Castellucci, classe 1920, giovane soldato che aveva combattuto sul Don e che, in un secondo momento, aveva disertato per unirsi alle bande partigiane con il nome di battaglia Facio. Diventato il braccio destro di Aldo Cervi, il primo dei sette eroici fratelli uccisi dai nazifascisti, gli viene affidato il comando del battaglione Guido Picelli, in una brigata Garibaldi operativa nel parmense. Definire eroiche le azioni del battaglione è forse enfatico, anche se, in alcuni degli episodi descritti, di eroismo certo si trattò. L'efficienza del gruppo, male equipaggiato, male armato, destò la meraviglia degli ufficiali tedeschi. Il comandante di un reparto della Wehrmacht, dopo un inutile assedio respinto con perdite, pare abbia esclamato: "Questi sono gli italiani che dovrebbero combattere con noi". Nel 1963, durante una cerimonia in una caserma di Cosenza alla memoria di Castellucci, venne consegnata una medaglia d'argento a sua madre Concetta, che la ricevette reprimendo a forza le lacrime. Sulla motivazione c'era scritto che il giovane Dante, poco più che ventenne, dopo aver partecipato a numerose azioni "scoperto dal nemico, si difendeva strenuamente; sopraffatto e avendo rifiutato di arrendersi, veniva ucciso sul posto". Dov'è l'amarezza della storia? Nella morte di un giovane di 24 anni? Certo, anche in quella In realtà l'evento nasconde un'altra tragedia. Dante non venne ucciso dai nazifascisti, ma dai suoi stessi compagni dopo un processo breve, terribile, nel quale prevalsero gli equivoci ed ebbe la meglio il fanatismo. L'autore del saggio, Capogreco, è uno storico specialista di quel periodo. La sua precisione non va a scapito di un tenore narrativo che restituisce il clima di precarietà e d'avventura di quei mesi di lotta. Senza intaccare il significato etico, prima che militare, che ebbe la Resistenza. Un libro amaro, dicevo, che però va letto.

 

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