Facio, quel partigiano ucciso da partigiani
Notizie Radicali del 12/02/2007 Con il libro, ben documentato, “Il piombo e l’argento”, edito da poco da Donzelli, Carlo Spartaco Capogreco ha avuto il coraggio di rimuovere da una fitta cortina di omertose reticenze la sconcertante, e purtroppo non unica, vicenda di Dante Castellucci, partigiano legatissimo ai Cervi, protagonista di azioni coraggiose nella Lunigiana e nell’alta Valle del Taro, assassinato appena ventiquattrenne, perché divenuto scomodo, dopo un processo-farsa da un nucleo di comunisti. Si tratta indubbiamente di una pubblicazione scomoda che, fino a prova contraria, non ci pare essere stata considerata con la dovuta attenzione. Nato in Calabria, a Sant’Agata d’Esaro, nel 1920, Castellucci viene educato in Francia, dove la sua famiglia emigra nel ’22. Tornato nel 1939 al suo paese, conosce Otello Sarzi, che sta scontando lì un confino di diciassette mesi. Appartenente ad una famiglia di teatranti, Sarzi lo invoglia ad appassionarsi al mondo del teatro, della pittura, della musica ed a scrivere anche qualche testo. La guerra, però, finisce per stravolgere anche la vita di Dante. Inviato in Russia in un contingente di 250 mila soldati, viene ferito seriamente in combattimento e rientra in Italia nel dicembre 1942. Convalescente, si reca a Campogalliano, vicino Modena, a trovare l’amico Otello che lo fa entrare in contatto con la famiglia di Alcide Cervi. Ed è a casa Cervi che Dante matura la propria vocazione politica e trova la spinta ideale per dedicarsi con tutto se stesso alla resistenza. Abbracciata la lotta partigiana, si distingue per generosità e entusiasmo. Protagonista di diverse azioni organizzate insieme ai fratelli Cervi, diviene braccio destro di Aldo nel gruppo costituitosi. Sorgono intanto i primi contrasti con i dirigenti comunisti reggiani che non vedono di buon occhio la spregiudicatezza e l’autonomia della formazione. Arrestato insieme al nucleo strategico nel novembre 1943, riesce a fuggire qualche giorno prima che i sette fratelli vengano fucilati. Braccato dai nazifascisti, è fortemente determinato a riorganizzare quella che viene chiamata la “banda Cervi” e riesce a raggiungere il distaccamento “Picelli” sull’Appennino parmense. La sua determinazione e il suo senso altruistico sono tali da procurargli immediatamente la stima e l’affetto dei compagni, nonostante i comunisti reggiani abbiano messo in giro calunnie sul suo conto e addirittura ne vogliano la morte. Assunto il nome di battaglia di Facio, si ritrova, in seguito alla morte del comandante in uno scontro, ad avere su di sé la responsabilità della compagine partigiana. Svolge il compito esercitando notevoli doti e compiendo una serie di azioni eroiche a favore della popolazione. Si diffonde, intanto, il mito che nel “Picelli” venga attuato una sorta di “socialismo umanitario” e la figura del Facio, amata dalla gente, viene ad essere oggetto di invidie personali e politiche. In particolare, contro il giovane capo partigiano tramano alcuni personaggi privi di scrupoli, mossi unicamente da ambizioni personali, legati ai comunisti di La Spezia. Condotto con una scusa ad Adelano di Zeri, in una casa di campagna, viene pretestuosamente accusato, trattenuto e ucciso all’alba del 22 luglio 1944 dopo un processo sommario che nulla ha da invidiare ai metodi sbrigativi staliniani. Senza la puntuale ricostruzione di Capogreco, di questa orrenda vicenda che ancora chiede giustizia, non si sarebbe saputo niente. Allo scopo di offuscare ulteriormente la verità, nel 1963 è stata assegnata alla memoria di Dante Castellucci una medaglia d’argento recante tra l’altro questa frase: “Scoperto dal nemico, si difendeva strenuamente sopraffatto e avendo rifiutato di arrendersi, veniva ucciso sul posto”. Il suo nome non figura neanche nella monumentale “Enciclopedia dell’antifascismo e della resistenza” di Pietro Secchia e Enzo Nizza. Ne “Il piombo e l’argento”, Capogreco sembra avallare l’ipotesi di Gordon Lett che l’eliminazione di Facio possa essere messa in relazione alla competizione esistente tra garibaldini e azionisti per il predominio politico nella zona tra lo Zerasco e la Valle del Vara. I comunisti, secondo il Lett, avrebbero voluto “unificare le formazioni “Signanini” e “Picelli” soprattutto per prevalere numericamente sugli azionisti, ma Facio era d’intralcio a questo progetto e, perciò, sarebbe divenuto “necessario” eliminarlo”. Invano Laura Seghettini, che si legò sentimentalmente al Castellucci, ha cercato di procurare a personaggi di primo piano dell’ex Pci, come Giorgio Amendola, e all’Istituto storico della Resistenza di Parma copia della documentazione presentata al Tribunale di Massa. Niente. Dell’episodio del Facio non si è parlato. Si tratta di una storia che, come scrive Capogreco, “induce a riflettere profondamente sulle grandi questioni ideali e morali della Resistenza”, una storia, non ancora chiusa, da comprendere, come sosteneva Bobbio, nella sua grandezza e nella sua miseria, nelle sue verità e nei suoi errori. |