Presidenza della Regione Calabria

 

La concessione della medaglia d’oro è il solo atto di riparazione possibile per onorare la memoria di Dante Castellucci, il leggendario comandante partigiano “Facio”: servirà a rendere giustizia al valore dimostrato sui campi di battaglia da questo giovanissimo “brigante” calabrese che lottò per la libertà dell’Italia dal nazifascismo, a ripristinare la verità storica, falsata anche nelle motivazioni che hanno portato all’attribuzione, anni fa, di una medaglia d’argento al valore.
L’iniziativa di numerosi storici italiani che in tal senso hanno sottoscritto una petizione da inviare al Presidente della Repubblica e ai ministri della Giustizia e della Difesa, va sostenuta non solo da tutta la comunità scientifica ma anche dalle istituzioni a incominciare da quelle della Calabria in cui “Facio” nacque. Il deposito di memorie della guerra partigiana non può, infatti, essere inquinato da falsi storici come quello accreditato “per comodità” sul comandante “Facio”, il quale non fu ucciso in battaglia dai fascisti bensì venne fucilato da suoi compagni in seguito a un ingiusto e infamante processo farsa come ha dimostrato il bel libro di Carlo Spartaco Capogreco “Il piombo e l’argento” edito da Donzelli.
A Facio, oggi, può essere resa giustizia e, come da impegno già preso davanti ai cittadini di S. Agata d’Esaro suo paese natale, la Regione Calabria si farà promotrice di una iniziativa parallela a quella degli storici per chiedere l’attenzione del Capo dello Stato sulla vicenda e una rivalutazione della figura di questo calabrese ribelle, combattente leale e nobile, capace di grandi gesta di eroismo. La lotta di liberazione dal nazifascismo va accettata per come è stata realmente, anche con episodi come quello che hanno portato alla morte di “Facio”. Non ha bisogno di versioni edulcorate e giustificative o, peggio, di riluttanti finte attenzioni per alcuni episodi, che ci sono stati, perché non rientrano nell’etica nobile di una rivoluzione pura.
In Dante Castellucci, voglio ricordarlo, si nasconde sia la metafora della Resistenza offesa da episodi di violenza ingiustificabili alla luce di una razionale valutazione storiografica, sia una metafora vicaria, più restia ad emergere, che fa riferimento alla complessa antropologia calabrese e che, per certo versi, sfata molti luoghi comuni accreditati dai media negli ultimi anni. Il calabrese “Facio” trovò nelle sue radici, in quella Calabria sana che per i media non esisterebbe più, le ragioni e le motivazioni del suo eroico agire da combattente della libertà. Emigrante da bambino, questo “brigante” (mai come in questo caso il termine veste a pennello il profilo di un calabrese ribelle) si porta appresso il ricordo di un territorio disperato e dolcissimo e, assieme a quel ricordo, il ribellismo antico e la sete di giustizia degli avi.
Combattè per la libertà propria e per quella degli altri. Combatté nello scontro del Lago Santo parmense e la sua figura divenne un mito, ancora vivo, per le popolazioni. La sua biografia non può essere, dunque, macchiata da una storica bugia sulla sua morte. Morì fucilato da alcuni che avevano combattuto dalla sua parte. Merita che ciò sia scritto a chiare lettere. I valori e i sentimenti della Resistenza non ne risentiranno. E al leggendario comandante “Facio” che non meritava il piombo dopo un processo sommario, e che merita l’oro della Repubblica nata dalla Resistenza, sarà restituita la dimensione etica che s’è meritato lottando contro le forze nazifasciste nel Parmense-Alta Lunigiana. La verità non può mai essere sepolta.

F.to
Agazio Loiero, presidente della Regione Calabria
24 luglio 2007

 

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