Ranieri

Partigiano Facio, il rovescio della medaglia

l'Unità del 13/02/2007

di Andrea Ranieri  

Giorgio Napolitano ci ricordava, nel giorno della memoria delle foibe, quanta verità stava o è stata occultata dagli ideologismi, dalle contrapposizioni frontali e aprioristiche, da un presente politico vissuto come duro contrasto col nemico, invece che come confronto e dialogo fra avversari che si riconoscono in un comune orizzonte democratico. E, come spesso, mi sento di aggiungere un malinteso senso di identità, che nel passato cerca radici indiscutibili e immutabili, porti ad occultare, o per lo meno a ridimensionare, quanto di inumanità e di ingiustizia sia stato presente anche fra le fila di chi della umanità e della giustizia aveva fatto la propria bandiera.

E come spesso questo continuismo acritico abbia imbalsamato la storia e la memoria, occultato o «revisionato» arbitrariamente fatti e verità, e ancor peggio fatto uscire di scena persone la cui vicenda potrebbe parlare ancora oggi della grandezza di quei valori per cui una generazione di giovani salì sui monti per il riscatto dell'Italia.

È il caso di Dante Castellucci, nome di battaglia «Facio», giovane calabrese partigiano nel parmense, la cui storia ci ha raccontato in un bel libro edito da Donzelli, e di cui l'Unità ha già dato notizia, Carlo Spartaco Capogreco. Sento la necessità di riparlarne perché la storia che quel libro racconta è stata parte importante della vita di mio padre e della mia, e perché alla fine vorrei fare una proposta, per riparare a un torto, per rimettere in sintonia la verità «ufficiale» con la verità della storia.

Il piombo e l'argento è il titolo del libro. L'argento è il metallo di cui è fatta la medaglia alla memoria. Il piombo è quello che mise fine alla vita di un comandante partigiano comunista ancora oggi leggendario per la gente di Zeri e della Lunigiana e per chi nel Parmense ha vissuto e studiato la Resistenza.

Ma il piombo evocato nella motivazione della medaglia è fasullo. Non è il piombo del nemico nazifascista. Capogreco ci racconta che ad ucciderlo fu il piombo di un plotone di esecuzione garibaldino, dopo un processo farsesco motivato da logiche di ambizione e di potere personale, che si coprirono di ideologia e cercarono copertura nei contrasti fra le diverse formazioni partigiane - comuniste, azioniste, cattoliche - presenti nella zona.

Questa verità io l'ho sempre saputa, e come me chi a Sarzana, a Pontremoli, a Parma, a Massa Carrara, ha fatto o ha studiato la Resistenza. Mio padre era l'ispettore che il Partito Comunista mandò a verificare la correttezza del processo, e il suo rapporto stilato pochi giorni dopo la fucilazione di Facio, già denunciava lo sconcerto presente tra la maggior parte dei partigiani e della popolazione, per quella esecuzione. «Facio fu ucciso perché era il più bravo e il più onesto, vittima di gente spregiudicata e immorale», dirà anni dopo a un giornalista toscano che voleva riaprire il caso. E quell'eroe scomodo, che sperimentò come si potesse pagare con la morte per mano amica il proprio stesso antifascismo, la propria fedeltà e una propria idea della Resistenza, quella verità presente e difficilmente dicibile, contribuì a segnare una forte impronta libertaria e democratica al comunismo della mia terra.

Facio da ragazzino l'ho sentito vivere nel 1956 nei manifesti che mio padre, diventato sindaco, fece affiggere per tutta Sarzana per chiedere l'immediato ritiro dei carri armati sovietici da Budapest. E Facio è presente e vivo fra i giovani che ancora oggi a centinaia dalle mie parti camminano ogni anno per i sentieri della Resistenza, a testimoniare che la verità con le sue contraddizioni, la storia delle persone vere, riesce a mantenere viva la memoria più che la riproposizione di una retorica identitaria.

Mi sembrava, ci sembrava, di aver fatto i nostri conti con Facio. Capogreco ci ricorda un piccolo particolare. Che la motivazione ufficiale di quella medaglia reca ancora le tracce di una intollerabile ipocrisia. Quella che ha creduto, riconoscendolo come un eroe come tutti gli altri, come tutti gli eroi che si rispettano caduto sotto il piombo nemico, di aver saldato i propri debiti. E anche noi, quelli che abbiamo sempre saputo e sempre lo abbiamo ricordato, rischiamo di accontentarci di fare i conti con noi stessi più che di fare i conti con Facio.

Di qui la proposta, da formularsi nei modi dovuti a chi per fare questo ha competenza e potere, di riconsegnare alla memoria di Facio la medaglia d'argento con la motivazione che gli spetta, ristabilendo anche negli atti ufficiali la verità ad oggi negata. Lo dobbiamo a Facio, alla Resistenza, all'Italia nuova che vogliamo costruire.

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